Terzo settore, il fisco amico si confronta sul mercato***Da attività escluse a esenti: va risolto il problema dell’IvaTerzo settore, il fisco amico si confronta sul mercato

Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2023

Terzo settore, il fisco amico si confronta sul mercato

Gli enti attendono in tempi brevi la risposta della Commissione

Non basta svolgere attività di interesse generale per i vantaggi tributari

Gabriele Sepio

Fiscalità degli enti del terzo settore (Ets) in attesa del vaglio Ue. Martedì il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha ribadito l’impegno a proseguire il confronto per l’autorizzazione, che dovrà dare certezze agli enti in tempi brevi.

Quali sono le richieste dell’Italia e come cambierà lo scenario fiscale degli enti dopo l’autorizzazione della Commissione europea che darà il via libera ad importanti misure introdotte dalla riforma del terzo settore? L’elenco delle norme tributarie al momento “sospese” è piuttosto ampio e si va dalle disposizioni che prevedono un trattamento fiscale agevolato per le imprese sociali ai regimi forfettari previsti per le entrate commerciali degli Ets, fino alla finanza sociale e all’allineamento Iva per alcune attività di interesse generale (attività socio sanitaria e formazione professionale, case di riposo).

L’Europa ha già dimostrato di voler incentivare l’azione dei singoli Paesi finalizzata a introdurre regimi giuridici e tributari uniformi per gli enti dell’economia sociale attribuendo alla stessa un ruolo fondamentale nella crescita economica sostenibile e nel rafforzamento dei sistemi di protezione della persona (in questo senso, da ultimo, l’Action plan della Commissione Ue del dicembre 2021).

Uno degli ostacoli da sempre indicati dalla Commissione per il pieno sviluppo dell’economia sociale è la mancanza di un quadro normativo chiaro e organico.

In questo schema si inserisce la richiesta dell’Italia alla Commissione di valutare la coerenza delle misure fiscali agevolative della riforma del terzo settore con le regole che disciplinano gli aiuti di Stato.

Non è sufficiente, infatti, svolgere attività in senso ampio ispirate al principio di sussidiarietà e all’interesse generale per poter scontare un regime fiscale di vantaggio. È necessario che le stesse non si pongano in contrasto con i principi posti a tutela della libera concorrenza e del mercato.

Gli elementi costitutivi della nozione di aiuto di Stato, in sintesi, sono identificabili in: 1 sussistenza di un’impresa; 2 origine statale dell’aiuto, nei termini sia di imputabilità della misura allo Stato sia di suo finanziamento tramite risorse statali; 3 conferimento di un vantaggio; 4 selettività della misura; 5 incidenza dell’aiuto sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri.

In questo quadro, la disposizione contenuta all’articolo 79 del Codice del terzo settore (Cts) definisce in termini “quantitativi” quando una attività di interesse generale può definirsi commerciale (e dunque soggetta a tassazione) o non commerciale. Rientrano in quest’ultimo ambito, ad esempio, le attività previste dallo statuto che realizzano un margine di utile contenuto nella misura del 6% per non più di tre periodi d’imposta consecutivi. Una disposizione che, tuttavia, potrebbe assumere carattere “dinamico” dopo il vaglio Ue dal momento che alcune attività potrebbero essere considerate non commerciali a prescindere.

Questo possibile scenario dipenderà da alcune variabili, come la tipologia di ente o la modalità di svolgimento dell’attività.Tre i possibili schemi su cui la Commissione europea è chiamata a pronunciarsi.

Il primo riguarda le attività non economiche di carattere puramente sociale che non impattano sulla concorrenza. È l’ipotesi in cui manca un vero e proprio mercato di riferimento (attività di beneficienza, promozione della cultura e della legalità) o quando i contributi pubblici non hanno natura di remunerazione del servizio (servizi socio-sanitari, istruzione e formazione).

Il secondo scenario riguarda invece le attività economiche che non si considerano aiuti di Stato in quanto rispettano i requisiti europei dei Sieg (servizi d’interesse economico generale). È il caso in cui il corrispettivo percepito dall’ente del terzo settore, a fronte degli obblighi di pubblico servizio, secondo il diritto Ue, prevede un «margine di utile ragionevole». Si tratta di quello stesso margine già predeterminato all’articolo 79 del Codice del terzo settore.

Terza categoria, infine, quella rappresentata dalle attività economiche non Sieg, come nel caso delle imprese sociali le cui misure fiscali di vantaggio potranno considerarsi aiuti di Stato legittimi tenendo conto delle differenze rispetto agli altri operatori: vincolo di prevalenza per le attività istituzionali elencate dal legislatore, limiti allo svolgimento di attività strumentali, alla distribuzione utili e alla remunerazione dei lavoratori, obblighi in materia di trasparenza e di vigilanza.

Un quadro, dunque, che se confermato potrà aprire nuove opportunità per gli Ets e per lo sviluppo dell’economia sociale a favore della collettività.

Norme sospese

Il vaglio Ue riguarda solo alcune delle misure del Codice del Terzo settore: le norme che disciplinano la finanza sociale ed in particolare i titoli di solidarietà (articolo 77), quelle che regolano la non commercialità delle attività di interesse generale svolte dagli Ets (articolo 79, comma 2 bis), i regimi forfettari previsti per la tassazione dei redditi di impresa prodotti dagli Ets non commerciali (articolo 80) o dalle Odv e Aps (articolo 86). Al vaglio Ue anche la nuova disciplina fiscale dell’impresa sociale prevista dall’articolo 18 del Dlgs 112/2017 .

Da attività escluse a esenti: va risolto il problema dell’Iva

L’articolo 4 del Dpr 633 è stato sospeso solo fino a dicembre

Ga.S.

Con la scadenza fissata al 31 dicembre 2023 per il varo delle nuove regole Iva gli enti associativi dovranno iniziare a valutare con attenzione il possibile impatto sull’operatività. Le novità riguarderanno la portata applicativa degli articoli 4 e 10 del Dpr 633/1972 (decreto Iva). Dal 1° gennaio 2024, saranno esenti (e non più escluse) le operazioni effettuate da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, a fronte di corrispettivi specifici o di contributi supplementari nei confronti di soci, associati o partecipanti.

Con la modifica si riterrà integrato il presupposto applicativo del tributo in caso di somme aggiuntive versate dall’associato rispetto alla quota ordinaria. Una definizione ampia che finora aveva caratterizzato l’inquadramento fuori campo Iva di una tra le maggiori entrate delle realtà associative del Paese. Con la trasposizione del medesimo testo all’articolo 10, tra le operazioni esenti, vi è la preoccupazione che si finisca con l’ampliare eccessivamente le entrate attratte in campo Iva.

Le somme versate in favore di enti non commerciali da soci/ associati/partecipanti, infatti, non sono sempre connesse a una specifica operazione, né costituiscono necessariamente una controprestazione che il committente o cessionario, in forza del rapporto sinallagmatico, è obbligato ad adempiere. È il caso, per fare un esempio, degli enti che operano con schemi mutualistici, le cui prestazioni trovano la loro fonte esclusiva nel vincolo che lega i due soggetti.

In quest’ottica potrebbe essere opportuno pensare ad una più stringente qualificazione del nuovo articolo 10 al fine di evitare un’eccessiva dilatazione delle operazioni attratte nel regime Iva anche in coerenza con i principi generali dell’imposta.

Una conclusione che, peraltro, sembrerebbe in linea con le conclusioni della stessa Commissione Ue nella procedura di infrazione 2008/2010, in cui viene ribadito che, ai fini della rilevanza Iva delle operazioni, occorre comunque verificare la sussistenza dei requisiti oggettivo e soggettivo. Per affermare la soggettività tributaria non è sufficiente la mera presenza di un corrispettivo versato quale mero compenso per l’appartenenza all’ente, bensì è necessaria una verifica sull’obiettiva economicità dell’attività esercitata (Cgue, c-288/2019).

Ulteriore criticità da superare riguarda la portata applicativa dell’articolo 10, comma 4, del decreto Iva che subordina il regime di esenzione Iva alla condizione generale di non provocare distorsioni della concorrenza.

Un principio che, tuttavia, si potrebbe meglio definire con riguardo alle ipotesi in cui un ente non commerciale si pone in concorrenza diretta sul mercato (Cgue, c-184/2014). Infine, resta aperta la questione legata all’esenzione per la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di indigenti rese da parte di associazioni di promozione sociale che sembrerebbe scattare a prescindere dal versamento di un corrispettivo. Una formulazione che andrebbe precisata non solo con riferimento al termine “indigente” ma anche con riguardo alla presenza di un corrispettivo specifico.

Le novità introdotte

Cosa cambia

L’articolo 1, comma 683 della legge di Bilancio 2022 fa slittare al 2024 le nuove disposizioni Iva previste per il terzo settore.

In particolare, il comma 683, inserito nel corso dell’esame al Senato, proroga al 1° gennaio 2024 l’entrata in vigore delle disposizioni di modifica dell’Iva applicabili agli enti del terzo settore previste dal decreto legge 146 del 2021.

Si tratta delle disposizioni contenute nell’articolo 5, commi da 5-quater a 15-sexies, del Dl 146 del 2021 (convertito

con legge 17 dicembre n. 215 del 2021, pubblicata

sulla Gazzetta ufficiale 301 del 20 dicembre 2021). Quest’ultimo è intervenuto

sulla disciplina Iva ricomprendendo tra le operazioni aventi natura commerciale una serie di quelle attualmente escluse, rendendole esenti ai fini dell’imposizione Iva (comma 15-quater).

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