Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore giovedì 9 Giugno 2022
IMPRESA SOCIALE, NODO ESENZIONE IVA PER L’ATTIVITA’ SOCIO-SANITARIA
A cura di Raffaele Rizzardi e Gabriele Sepio
Attività socio-sanitaria soggetta ad IVA se svolta dall’impresa sociale. Un orientamento questo ormai consolidato nei recenti documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate (Risp. n. 388 e 475 del 2021) e che di fatto porta le tante realtà che si apprestano ad accedere al Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) operativo dal 23 novembre scorso, nella posizione di dover fare delle scelte. Il tema infatti è legato principalmente alle modifiche introdotte dal D.lgs. n. 117/2017 (CTS) che vede sostituire la parola ONLUS presente nell’art. 10, comma 1, n. 27 ter del D.P.R. n. 633/1972 con quella di “ente del Terzo settore con commerciale”. Un richiamo quello agli enti che rispettano i parametri previsti dall’art. 79 del CTS che di fatto, secondo l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, tende ad escludere dal regime di esenzione IVA previsto dall’art. 10 n. 27 ter gli enti che decidono di iscriversi nel RUNTS come impresa sociale. Impostazione che muove dal presupposto secondo cui non si ritiene soddisfatto il requisito soggettivo previsto dalla norma in quanto l’impresa sociale è per definizione un ente di natura commerciale. Un orientamento quello dell’Agenzia delle Entrate che però che non tiene conto del fatto che la norma sotto il profilo soggettivo consente che le prestazioni socio-assistenziali connesse all’assistenza e alla previdenza sociale o fornite in favore di determinate categorie di soggetti (i.e. anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, handicappati psicofisici) possano non solo essere erogate dalle ONLUS (termine questo che verrà sostituito con “enti del Terzo settore di natura non commerciale”) ma anche da enti di diritto pubblico o altri organismi riconosciuti dallo Stato come aventi carattere sociale, ossia organismi di diritto pubblico, istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica, e da enti aventi finalità di assistenza sociale. E proprio con riferimento a questa ultima categoria che vi potrebbero essere delle aperture in grado di consentire alle imprese sociali di poter beneficiare comunque dell’esenzione IVA pur non essendo un ETS di natura non commerciale. Un’ipotesi questa esclusa però dall’Agenzia delle Entrate (Risp. n. 475/2021) che tuttavia non tiene conto del fatto che ai fini dell’assegnazione o meno del regime non deve essere valutata la sola natura non commerciale dell’ente ma anche l’attività in concreto svolta: vale a dire se caratterizzata da finalità tipicamente di assistenza sociale. Un requisito diverso ed ulteriore (espressamente richiamato dall’art. 10, comma 1, n. 27 ter) che dovrebbe essere valutato nel caso concreto e ancor più se si tiene conto dell’orientamento della Corte di giustizia (sentenza 26 maggio 2005, causa C-498/03). Un indirizzo questo che fa rientrare nella categoria degli “enti aventi carattere di assistenza sociale” anche quelli che perseguono finalità di lucro e che consentirebbe anche alle imprese sociali, di continuare a beneficiare del regime di esenzione IVA pur perdendo la qualifica di ONLUS. Se prima della Riforma del Terzo settore, infatti, non era chiaro quali fossero gli enti aventi finalità di assistenza sociale, richiedendosi quindi una verifica sia dello Statuto che dell’attività effettivamente svolta, con il CTS le cose cambiano. Questo diventa il punto di riferimento da cui partire per comprendere se un ente possa rientrare tra quelli aventi finalità di assistenza sociale in considerazione delle attività di interesse generale che svolgono i destinatari dell’esenzione ai fini IVA. Il CTS, infatti, consente agli ETS di poter svolgere le prestazioni socio-sanitarie di cui al DPCM 14 febbraio 2001 e quelle socio-assistenziale. Pertanto un’impresa sociale che svolga prestazioni di tale genere in via principale o prevalente, rientra sicuramente nell’alveo di ente avente finalità di assistenza sociale, con il conseguente regime di esenzione IVA, pur non rispettando il requisito della natura di ente non commerciale. Quest’ultima qualificazione è stata introdotta impropriamente nella legge IVA, e non deve essere confusa con quella di “ente non lucrativo”, che pone come unica condizione il divieto di distribuzione degli utili, e che può benissimo essere di natura commerciale.
***
NIENTE IVA DA ORFANOTROFI, ASILI E CASE DI RIPOSO
Se per le prestazioni socio sanitarie l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è volto a non riconoscere alle imprese sociali la possibilità di fruire dell’esenzione ai fini IVA discorso diverso, invece, per le ulteriori ipotesi previste dall’art. 10, comma 1, n. 20 e 21 del DPR 633/72. In particolare, con riferimento alle prestazioni proprie degli orfanatrofi, asili, case di riposo per anziani ecc. (n. 21 dell’articolo 10) il regime di esenzione risulta applicabile anche alle imprese sociali. Questo perché, per tali specifiche attività, il DPR n. 633/1972 prescinde dalla forma o qualifica giuridica del soggetto che le eroga, purché siano svolte in modalità residenziale. A tal proposito non può farsi a meno di ricordare come in senso favorevole si sia espressa la stessa Agenzia delle Entrate (Risposta n. 221 del 2022) che ha ricordato sulla base dei precedenti orientamenti di prassi (Risoluzione. n. 39/E del 2004) che l’esenzione IVA di cui al n. 21 ha valenza oggettiva e opera a prescindere dalla qualifica del prestatore o committente del servizio reso. Ciò che conta, quindi, ai fini dell’esenzione è il contenuto della prestazione stessa che dovrà essere contraddistinta principalmente dalla fornitura del servizio di alloggio e assistenza a favore di anziani o simili senza che rilevi la natura commerciale o meno del prestatore. D’altro canto sarà necessario, ai fini della fruizione dell’esenzione IVA, che il servizio offerto consista nella gestione globale della casa di riposo. Rientrano peraltro nel regime di esenzione Iva di per le imprese sociali anche le prestazioni rese da una residenza sanitaria assistenziale per disabili (RSD). Tali attività, infatti, devono considerarsi assimilabili a quelle rese dalle case di riposo tenuto conto che la locuzione “simili” contenuta nell’art. 10 n. 21 del DPR non è da intendersi tassativa e che le prestazioni rese da organismi diversi dalle residenze per anziani possono fruire dell’esenzione IVA quando le stesse assicurino l’alloggio eventualmente unico ad altre prestazioni considerate accessorie a quella principale. Con riferimento, invece, all’esenzione relativa alle prestazioni di natura educativa dell’infanzia o didattica in genere, previste dall’art. 10, comma 1, n. 20 del DPR 633/1972, per le imprese sociali il requisito soggettivo potrà ritenersi integrato laddove sussista uno specifico riconoscimento da parte della Pubblica amministrazione per l’esercizio delle attività indicate. Una conclusione a cui è possibile giungere anche nel caso in cui sussista un finanziamento pubblico per la gestione e lo svolgimento del progetto educativo e didattico.