
Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore del 11 marzo 2023
La riforma dell’Ires scommette sul regime della doppia aliquota
Patrimonializzazione delle imprese e stimolo agli investimenti per rafforzare il
sistema produttivo del Paese: sono questi i due obiettivi di politica economica che
la riforma fiscale intende perseguire con la revisione dell’Imposta sui redditi della
società (Ires).
Il testo ancora non definitivo della legge delega indica, all’articolo 6, i criteri
generali cui dovrà ispirarsi il nuovo regime a doppia aliquota. Una prima aliquota
ridotta si renderà subito applicabile e resterà successivamente confermata, qualora,
nei due periodi d’imposta successivi a quello nel quale il reddito è stato prodotto,
vengano rispettate congiuntamente due condizioni:
a) l’impiego di una somma pari, in tutto o in parte, al reddito in investimenti
qualificati o in nuove assunzioni: la percentuale del reddito da impiegare sarà
determinata con il decreto delegato;
b) l’accantonamento degli utili, con l’avvertenza che saranno considerati come
distribuiti quelli corrispondenti ai ricavi non contabilizzati e ai costi inesistenti
accertati dall’amministrazione finanziaria.
L’impresa, quindi, applicherà immediatamente l’aliquota ridotta e avrà due periodi
d’imposta di tempo per effettuare gli investimenti richiesti dalla legge; nello stesso
periodo non dovrà inoltre distribuire gli utili accantonati. Due i possibili scenari sul
piano fiscale. Qualora l’impresa non dovesse rispettare le due condizioni anzidette,
il reddito subirà un’ulteriore tassazione, scontando un’aliquota pari alla differenza
tra quella ordinaria e quella ridotta già applicata. Qualora, invece, nel biennio i due
requisiti vengano rispettati gli utili si renderanno distribuibili senza scontare alcuna
ulteriore imposizione.
In sostanza l’aliquota Ires ordinaria sarà definitivamente ridotta per chi investe in
beni e/o in nuova occupazione e al tempo stesso patrimonializza l’azienda non
distribuendo gli utili nel biennio. Il regime duale mira così a stimolare la
competitività delle imprese favorendone la capitalizzazione nonché ad incentivare
la crescita economica e l’occupazione, generando nuova ricchezza per il Paese ma
anche nuovo gettito per lo Stato attraverso l’imposizione dei redditi dei fornitori dei
beni e del personale assunto.
In fase di attuazione della delega, il Governo sarà chiamato a individuare anche la
tipologia dei beni qualificati e la natura dei rapporti da instaurare con i neo assunti,
che probabilmente dovranno risultare a tempo indeterminato. Da chiarire altresì il
momento di effettuazione dell’investimento.
Si potrebbe adottare un criterio analogo a quello previsto per i crediti d’imposta
vigenti, facendo riferimento, ad esempio, ai beni, anche immateriali, « industria
4.0» e «transizione 4.0», e alle spese per ricerca e sviluppo.
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Da ente profit a non commerciale con regime speciale
La delega per la riforma fiscale si propone di coordinare e razionalizzare la disciplina tributaria degli enti del Terzo settore e degli enti non commerciali con le altre disposizioni dell’ordinamento fiscale, tenuto conto della sempre maggiore incidenza di queste realtà nel sistema economico del Paese.
Con riguardo all’Iva, è prevista una razionalizzazione della disciplina relativa agli enti del Terzo settore, anche nell’ottica di semplificare gli adempimenti. L’intervento di riforma potrebbe pertanto costituire l’occasione per una armonizzazione della disciplina Iva con il Codice del Terzo settore. Quest’ultimo, infatti, è intervenuto in attuazione della legge delega 106/2016, che non prevedeva una armonizzazione strutturale del regime Iva, ma solo modifiche su specifici aspetti: quali il coordinamento tra regime Onlus e nuova qualifica di Ets, o le semplificazioni per Odv e Aps.
Un’opera di coordinamento e semplificazione si rende necessaria anche in ragione delle modifiche introdotte dal Dl 146/2021, che dal 1° gennaio 2024 dovrebbero determinare l’inclusione in campo Iva, se pur in regime di esenzione, delle operazioni rese dagli enti associativi nei confronti di associati e partecipanti.
Tra i principi e i criteri direttivi relativi alla revisione delle imposte sui redditi, la bozza del disegno di legge prevede l’introduzione di un regime fiscale speciale per le ipotesi di passaggio dei beni dall’attività commerciale a non commerciale, e viceversa, per effetto del mutamento della qualificazione fiscale delle attività.
Tale previsione si lega, in particolare, all’introduzione dei nuovi criteri di cui all’articolo 79 del Codice del Terzo settore, che potrebbero determinare la “riqualificazione” come non commerciali di attività di interesse generale ora considerate commerciali, innescando così gli effetti fiscali legati alla fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa. La norma, pertanto, potrebbe attenuare il carico impositivo per molte realtà attive nel sociale, onde evitare effetti penalizzanti legati a una ipotesi di estromissione dalla sfera d’impresa che non sarebbe legata ad una diversa destinazione dei beni, ma solo all’applicazione dei nuovi criteri normativi.
Un possibile riferimento potrebbe essere costituito dal precedente della riforma Onlus, che aveva previsto in casi simili una apposita imposta sostitutiva (articolo 9, comma 2, Dlgs 460/1997).