Lasciti a favore del terzo settore, nuove opportunità con la riforma

Pubblicato su il Sole 24 Ore il 21 Ottobre 2022

A cura di  Gabriele Sepio

 

Lasciti a favore degli enti del terzo settore con maggiori opportunità per il non profit a seguito delle novità fiscali introdotte dalla Riforma.

La destinazione mortis causa di patrimoni per finalità di interesse generale presenta dati con una incoraggiante crescita negli ultimi anni che manifesta sempre più l’inclinazione del nostro Paese ad inquadrare tali “liberalità” come un vero e proprio strumento di sensibilità civica e filantropica.

Stando ai dati contenuti nella ricerca condotta nel 2020 da Fondazione Italia sociale, infatti, nel 2018 il valore complessivo dei lasciti solidali, su circa 149 organizzazioni non profit prese a campione, ammonta a 137milioni di euro, con una media che si attesta a 919 mila euro per singolo ente.

Importi, quelli appena individuati, che con l’avvio della riforma del terzo settore sono destinati a crescere portando, secondo le stime di Fondazione Cariplo, gli italiani a scegliere di destinare – tramite lascito in vita o dopo la morte – a istituzioni benefiche una cifra che potrebbe sfiorare i 130 miliardi di euro. Entro il 2030, infatti, dovrebbe aumentare il numero delle famiglie che sceglieranno di devolvere parte del loro patrimonio al Terzo settore. Si va dalle circa 340 mila del 2009 alle 424 mila famiglie “donatrici”, con un incremento del valore economico delle possibili donazioni di circa il 23%, passando dai 105 miliardi, calcolati nel 2009, ai 129 miliardi previsti nei prossimi anni.

Sul fronte fiscale, quando si parla di donazioni e lasciti mortis causa, c’è da evidenziare come tali eventi ricevano un medesimo trattamento in cui la misura di tassazione è strettamente correlata all’esistenza o meno di legami familiari tra disponente e beneficiario.

Previste attualmente quattro aliquote (dal 4% per i trasferimenti tra coniugi/parenti in linea retta, all’8% per gli estranei), alle quali vengono collegate specifiche soglie entro le quali l’imposta non è dovuta (1 mln di euro tra coniugi/parenti in linea retta e 100mila euro tra fratelli e sorelle).

Accanto a tale ipotesi, inoltre, è prevista una specifica esenzione per i trasferimenti a soggetti che svolgono attività considerate meritevoli, come nel caso di fondazioni e associazioni che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione.

Un trattamento quello del legislatore italiano certamente più vantaggioso se paragonato agli altri Stati europei (in Francia e Germania le aliquote massime toccano e, in alcuni casi, superano, il 50% del valore dei beni in caso di successione) e destinato a trovare una sua evoluzione con la riforma del terzo settore. Sul punto, infatti, non può non rilevarsi come i trasferimenti a titolo gratuito e destinati agli Ets (comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali in forma societaria) potranno beneficiare di un’esenzione totale, ai fini dell’imposta su successioni e donazioni, ipotecaria e catastale (articolo 82 Dlgs 117/2017 o Cts).

Tale misura fiscale di favore interesserà dunque una vasta platea di enti non profit iscritti nel Registro unico nazionale del terzo settore ai quali spetterà nei prossimi anni intercettare i copiosi patrimoni destinati alla successione senza eredi o con parenti oltre il quarto grado, spesso del tutto estranei alla sfera sociale e affettiva del de cuius.

Le ragioni a favore dell’assegnazione dei beni ad enti “virtuosi” possono essere diverse ed in alcuni casi legate proprio alla leva fiscale. Nei Paesi, infatti, dove le aliquote successorie applicabili in caso di trasferimento mortis causa a favore di parenti oltre il quarto grado sono più elevate gli enti non profit hanno maggiori possibilità di ricevere lasciti.

In assenza di parenti entro il quarto grado l’assegnazione dei beni a favore di enti del terzo settore garantirebbe, inoltre, una continuità nella destinazione del patrimonio a finalità di interesse generale. Peraltro, in caso di scioglimento o liquidazione dell’ente il patrimonio andrà devoluto ad altre realtà del terzo settore.

 

Pubblicato su il Sole 24 Ore il 21 Ottobre 2022

A cura di Gabriele Sepio

 

Sono molti i nodi da sciogliere per garantire alle erogazioni liberali un equo trattamento fiscale nel caso in cui il donatore e l’ente non profit non siano residenti nello stesso Paese.

Infatti, se il nostro ordinamento interno consente di fruire di un regime di favore per le liberalità dirette ad enti del Terzo settore (articolo 83 del Cts o articoli 15 e 100 del Tuir) residenti in Italia, manca ancora una linea di condotta condivisa a livello internazionale per garantire i benefici fiscali anche in caso di lasciti e donazioni che interessano enti o donatori non residenti.

In una fase in cui la filantropia supera sempre più spesso i confini nazionali, diventa quantomai opportuno verificare le condizioni per garantire i benefici fiscali ai donatori, prendendo le mosse dalle modalità di comparazione tra le norme dei diversi Paesi.

Se in linea generale, infatti, gli orientamenti della Corte di Giustizia Ue, impongono agli Stati membri di non escludere dalle agevolazioni fiscali di favore enti non profit non residenti “comparabili” a quelli del Paese membro (sentenze sulle cause C-318/07 e C-10/10), molto spesso però gli stessi si trovano a dover far fronte ad adempimenti amministrativi ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali.

Si pensi, ad esempio, a quanto richiesto dall’agenzia delle Entrate nel recente orientamento di prassi (risposta n. 406/2021) con cui si ammette un ente non profit estero a beneficiare del regime di favore di cui all’articolo 83 del Cts a condizione che sia iscritto nei registri previsti dalla legislazione italiana (come ad esempio l’anagrafe Onlus, ormai “congelata”, oppure il Runts). Un adempimento amministrativo che, seppur non confliggente con le libertà economiche europee (sentenza sulla causa C- 318/07) in quanto giustificato dall’esigenza di controllo fiscale, genera un evidente “aggravio” procedimentale proprio a causa della mancanza di specifiche convenzioni tra Paesi membri in grado di disciplinare la materia delle donazioni transfrontaliere.

Proprio nel contesto così delineato, bisognerebbe pensare ad un sistema più efficiente in grado di incentivare la filantropia internazionale, ovviando a quegli ostacoli normativi e fiscali che possono presentarsi.

In quest’ottica, infatti, si potrebbe pensare di fornire, a livello europeo, una serie di parametri standard atti a qualificare la meritevolezza dell’ente, anche se non residente, in base ad alcuni requisiti indefettibili.

Pensiamo, ad esempio, al divieto di distribuzione utili, allo svolgimento di attività di interesse generale tassativamente elencate dal legislatore, all’iscrizione in un pubblico registro con obbligo di trasparenza in merito a bilanci e rendicontazioni.

D’altro canto, però, l’incentivo per la filantropia internazionale potrebbe essere perseguito anche mediante accordi fiscali internazionali. Per esempio, le convenzioni contro la doppia imposizione firmate dagli Stati Uniti con Germania e Paesi Bassi contiene specifiche clausole che prevedono il reciproco riconoscimento di alcune categorie di enti non profit.

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