Pubblicato su il Sole 24 Ore il 13 Ottobre 2022
A cura di Andrea Mancino e Gabriele Sepio
Resta l’attesa per le regole sul lavoro sportivo che scatteranno dal 2023. La nuova disciplina, inizialmente prevista dal decreto 36/2021, aveva sollevato non poche perplessità legate alla difficoltà di inquadramento dei lavoratori.
Criticità, queste, solo in parte risolte dal correttivo approvato il 28 settembre dal Consiglio dei ministri. L’intervento più corposo riguarda senz’altro la disciplina sul lavoro sportivo. Rispetto alla formulazione originaria resta la previsione secondo la quale tali rapporti possono inquadrarsi come contratti di lavoro subordinato, autonomo oppure nella forma della collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.).
A ciò si aggiunge, tuttavia, l’introduzione nel correttivo della presunzione che consente di applicare il contratto di co.co.co. ove la durata delle prestazioni non superi le 18 ore settimanali (esclusa la partecipazione a manifestazioni sportive) e le stesse siano svolte in osservanza dei regolamenti degli Organismi del Coni. La modifica non appare priva di criticità sulle quali potrebbe essere opportuno avviare attente riflessioni, prima della definitiva entrata in vigore delle norme.
Il primo aspetto riguarda il limite quantitativo cui viene rigidamente legato l’inquadramento della prestazione quale co.co.co. Un profilo che, da un lato, non sembra superare le problematiche emerse dalla giurisprudenza che a più riprese ha riqualificato contratti di lavoro sportivo in lavoro subordinato. Dall’altro, resta da chiarire come verrà effettuato il computo delle 18 ore previste. Vale a dire se trattasi di un limite assoluto da calcolarsi in via settimanale o come media rispetto alla durata complessiva annuale del rapporto.
Laddove le prestazioni siano svolte in favore di più enti, occorrerà inoltre chiarire se il limite vada calcolato complessivamente o con riguardo all’attività resa per ogni singolo soggetto. Si pensi, ad esempio, al caso del collaboratore il cui impegno superi le 18 settimanali in specifici mesi ma resti ben al di sotto del limite nei restanti periodi dell’anno.
Oppure al caso del collaboratore che presti la propria opera a favore di più sodalizi e la somma complessiva delle ore ecceda il limite settimanale. In questi casi l’inquadramento del rapporto potrebbe mutare in funzione dei criteri di calcolo del plafond. Ove quest’ultimo sia calcolato sulla base di una media che tiene conto della durata complessiva del rapporto o con riferimento alle attività svolte a favore di un singolo ente si potrebbe ricadere, ad esempio, in una ipotesi di co.co.co., in caso contrario il rapporto verrebbe attratto nelle altre tipologie contrattuali.
Ulteriori criticità riguardano poi le soglie di esenzione. Con il correttivo viene dimezzata – da 10mila a 5mila euro annui – la soglia entro la quale la retribuzione del lavoratore sportivo non produrrà né reddito, né obblighi dichiarativi e previdenziali.
Al di sopra dei 5mila euro, scatteranno le aliquote contributive pensionistiche. Per quelle fiscali, invece, la soglia è fissata in 15mila euro annui. Al suo superamento, il reddito del lavoratore sportivo sarà assoggettato a tassazione secondo le ordinarie aliquote ma solo per la parte eccedente tale importo.
In altri termini, ove il collaboratore percepisca compensi annui pari a 30mila euro, le imposte saranno assolte solo sui 15mila euro eccedenti la soglia.
Resta fermo l’obbligo del collaboratore di certificare al committente il superamento della soglia di esenzione fiscale e previdenziale. Andrà tuttavia chiarito in caso di pluralità di committenti, su quale di essi ricada l’obbligo di applicare le aliquote contributive e la tassazione dei compensi in caso di superamento delle soglie. Questo al fine di evitare criticità a livello applicativo per gli operatori chiamati a gestire gli adempimenti. Infine, la sostituzione della figura dell’amatore con quella del volontario, lascia aperti dubbi per quei casi in cui al collaboratore sportivo (arbitri, dirigenti, e altro) sono riconosciuti rimborsi forfettari. Il divieto per i volontari di percepire rimborsi di questo tipo finirebbe infatti per far rientrare tali prestazioni nel lavoro autonomo occasionale con applicazione della ritenuta a titolo di acconto.
Per Associazioni e Società possibile aggravio con obbligo di doppia iscrizione
L’entrata in vigore del Dlgs 39/2021, a decorrere dal 31 agosto scorso, ha reso operativo il nuovo Registro nazionale attività sportive dilettantistiche, presso il Dipartimento per lo Sport. Un evento piuttosto rilevante, posto che all’iscrizione è subordinata sia la certificazione dell’effettiva natura dilettantistica delle attività di Asd/Ssd sia la fruizione dei benefici (fiscali e non) legati a tali qualifiche.
Peraltro, come previsto espressamente dalla norma, il nuovo elenco tenuto dal Dipartimento sostituisce a tutti gli effetti quello del CONI (articolo 12, comma 1 Dlgs 39/2021). Quanto recato con la riforma non sembrerebbe tuttavia coordinarsi con quanto previsto dall’ordinamento sportivo nazionale e internazionale, specie con riguardo alle funzioni del Coni.
I decreti di riforma non abrogano né sospendono il decreto Melandri che rimette al Consiglio nazionale Coni il compito di deliberare in ordine ai provvedimenti di riconoscimento ai fini sportivi (articolo 5 Dlgs 242/1999). L’esercizio di tali funzioni, reso impossibile dall’attuale formulazione della norma, è alla base delle motivazioni che hanno indotto il Consiglio nazionale Coni a confermare, con apposita delibera del 15 settembre scorso, la validità del Registro Coni prevedendo l’obbligo di iscrizione delle Asd/Ssd al fine di poter esercitare le attività di riconoscimento e controllo affidategli dal citato decreto Melandri.
Nella sostanza, il Coni sembrerebbe mantenere in vita il proprio Registro, riconoscendo invece il ruolo di quello del Dipartimento Sport per tutto ciò che le norme statali attribuiscono alla veste di Asd/Ssd. Si assisterebbe così ad una duplicazione in termini di adempimenti, dovendo le Asd/Ssd essere iscritte in due diversi registri per mantenere il riconoscimento sportivo. Altro tema legato al coordinamento col nuovo Registro riguarda poi le novità recate nel correttivo al decreto 36/21 (si veda altro pezzo in pagina) che mantiene in capo agli enti l’onere di comunicare i dati dei rapporti di lavoro direttamente al Registro tenuto dal Dipartimento. Un adempimento che, equivarrà alla comunicazione al centro per l’impiego. Di conseguenza il nuovo Registro assolverà non solo alle funzioni di certificazione dell’effettivo svolgimento dell’attività sportiva, ma anche di regolazione per gli adempimenti previdenziali ed assistenziali connessi ai rapporti di lavoro. Va tuttavia considerato che la previsione del correttivo non trova conforto nella formulazione del decreto 39/2021 istitutivo del Registro, come da ultimo novellato dal decreto Sostegni bis (articolo 10, comma 13-quinquies Dl 73/2021). Nell’elenco dei dati che le Asd/Ssd sono tenuti a comunicare al Registro scompare, infatti, il riferimento ai contratti di lavoro sportivo. Si tratta dell’ennesimo difetto di coordinamento su cui il legislatore dovrà intervenire.